giovedì 19 novembre 2015

Lo strano caso delle figurine nella Cappella Sistina

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Anche oggi, con riferimento all'opera che andiamo a presentare, dobbiamo ringraziare un nostro lettore, appassionato d'arte, pittore, e soprattutto restauratore di eccellente livello, che tuttavia ci ha chiesto di non essere menzionato per evidenti motivi che capirete in seguito. Il cammino artistico odierno ci porta nientemeno che in Vaticano, nella Cappella Sistina, al cospetto degli affreschi più celebrati al mondo, opera del protagonista assoluto del Rinascimento italiano: Michelangelo Buonarroti. Non siamo qui a descrivere l'artista, universalmente noto, e neanche azzardiamo l'ipotesi di tracciare la magnificenza degli affreschi in questione, valga allo scopo quanto affermato da Johann Wolfgang von Goethe:

«Senza aver visto la Cappella Sistina non è possibile formare un'idea completa di ciò che un uomo è capace di raggiungere

Ebbene, si sappia che l'immagine che ci apprestiamo a esaminare è tratta da una fotografia fatta circolare nel 1994, immediatamente dopo il termine dell'ultimo restauro della volta della Cappella Sistina, iniziato nell'anno 1980. Quest'ultimo periodo di restauro ha provocato stupore presso gli studiosi e gli amanti dell'arte poiché sono stati portati alla luce colori e particolari che la patina scura aveva nascosto per secoli. Dopo questi restauri, è stato dichiarato che "ogni libro su Michelangelo dovrebbe essere riscritto" e, a tal proposito, ricordiamo che tutto il processo dei lavori (ben 14 anni) venne documentato dal fotografo Takashi Okamura per la Nippon Television Network Corporation. E' proprio per questo che quando ci è stata sottoposta questa fotografia siamo ricorsi ad ogni mezzo per saperne di più e, a quanto pare, ne siamo venuti a capo.

Nel 1978 il giovane C.T. (che chiameremo "Carlo" per convenzione) viene inserito, con la qualifica di "responsabile del trattamento delle efflorescenze saline", in seno al team di restauro della Cappella Sistina, questo grazie ai tre anni di stage effettuati presso il Laboratorio Vaticano per il Restauro dei Dipinti; dunque, prende parte già alla fase di sperimentazione preliminare del 1979, propedeutica al restauro vero e proprio. Carlo passerà ben sei anni nella Cappella, quelli necessari alla sua fase di intervento, divenendo parte della numerosa famiglia di professionisti, religiosi e collaboratori più vari che animeranno la vita sotto e sopra i ponteggi presenti in questo scenario unico al mondo. Carlo, è persona simpatica, sempre pronto alla battuta, soprattutto se l'argomento in questione ha a che fare con la Roma, vista la sua costante militanza nel CUCS (Commando Ultrà Curva Sud), e proprio in questo periodo, uno dei suoi interlocutori privilegiati è Don Antonio Remondini, diretto assistente del direttore della Sala Stampa della Santa Sede, l'Arcivescovo Romeo Panciroli. Don Antonio e il Panciroli, quasi ogni mattina si recano in cappella per rendersi conto del progresso dei lavori e, immancabilmente, finiscono con lo scambiare due chiacchiere con Carlo; ora, si sappia, Don Antonio, oltre ad essere devoto al Cristo, è anche seguace indefesso dell'altra squadra capitolina, anzi, si narra che sia stato confessore di Giorgio Chinaglia, già dall'approdo del ragazzo in seno alla compagine biancoceleste, immaginiamo quindi il livello di accesa ironia raggiunto nelle conversazioni tra lui e Carlo.

Sta di fatto che la stagione calcistica 1982-83 mette a dura prova il buon rapporto stabilitosi tra i due, Carlo passa l'intero periodo cantando a piena voce tra i ponteggi, Don Antonio, alle prese col campionato di serie B, ha i nervi a fior di pelle e ogni mattina è costretto a chiedere ragguagli sullo stato dei lavori a squarciagola, per sovrastare le sonorita di Carlo; inutile dire che il resto della compagnia si gode il siparietto offerto con genuino divertimento. Teniamo pure presente che Don Antonio evita accuratamente di salire sui ponteggi in quanto soffre di vertigini e inoltre, essendo mediamente miope, non può che domandare al diretto interessato notizie sullo stato del restauro. La fine della stagione calcistica è un vero è proprio punto di svolta della vicenda, Carlo, fresco scudettato, è al settimo cielo, raddoppia la causticità dei commenti e il volume del canto, mentre Don Antonio, sia pur felice per la promozione in serie A, è costretto a subire le angherie del giovane romanista, e quando Carlo usufruisce di qualche giorno di ferie per i dovuti festeggiamenti col Commando, mette in pratica la propria vendetta. Don Antonio fa sostituire tutti i teli di protezione dei ponteggi con elementi nuovi: tutto il versante interessato dai lavori appare come uno svavillio di drappi bianchi e azzurri, da cielo a terra, immaginiamo solo per un attimo la faccia di Carlo al rientro dalle ferie... Apparentemente la prende bene, ma per parecchie settimane è cupo in volto e non proferisce parola; ai commenti divertititi dei colleghi si limita a rispondere con una sola unica frase:

"La guera è guera."

Qualcuno racconta che la vendetta del restauratore fu messa in atto in una sola notte, nel'agosto del 1983 (ndr). Tutto diverrà più chiaro la mattina del 1 aprile del 1985, quando - Carlo ha ormai finito il suo compito ed è lontano dal sito dei lavori da circa un anno - nel procedere al restauro di un'altra ala della Cappella, esattamente la zona delle campate vicino alla porta d'ingresso, si esamina lo splendido affresco della "Sibilla Delfica" (Delphica), che fa parte della serie dei Veggenti, collocati su ampi troni architettonici. Come noto alle spalle della veggente, a sinistra, sono ritratti due giovanissimi assistenti, uno che legge un libro e l'altro che lo regge, ebbene: è subito caos! I lavori vengono immediatamente sospesi e la zona viene posta sotto sorveglianza delle guardie svizzere. Gli oltre trenta addetti al restauro vengono interrogati a più riprese. Ma cosa è successo di così grave?

Nell'affresco, sul libro dei piccoli assistenti, compare in bella mostra una doppia pagina dell'Album dei Calciatori Panini 1982-83, quella della A.S.Roma, completa di tutto punto, messa lì ad imperitura memoria di una stagione memorabile, con buona pace di Don Antonio. E il lavoro è davvero apprezzabile, eseguito ad acquerello, in punta di pennello, con una restituzione oltremodo fedele, completa di immagini, nomi, didascalie e fincature, una prova d'artista veramente ragguardevole. Purtroppo (o per fortuna) tutto sparirà dopo circa un anno, quando verrà effettivamente restaurato il dipinto, ma non prima di aver scattato qualche foto ove, si noti, muffe e umidità provenienti dalle copiose fessurazioni, hanno già messo a dura prova l'ottimo lavoro dell'artista romanista. Dunque, non una vera e propria opera d'arte, ma un sicuro attacco d'arte, un atto estremamente pagano nel tempio universale della cristianità. Peccato solo che Don Antonio Remondini sia, anche lui, destinato ad altro in carico da circa sei mesi; morirà poi nel settembre del '87... avrà mai saputo? La risposta ce la fornisce il nostro interlocutore, che proprio presso la Cappella Sistina fu collega di Carlo per qualche anno:

"Sì, sì. Don Antonio poté sincerarsi direttamente della cosa, eccome... quando nel maggio del 1985, su esplicito invito di Joaquín Navarro-Valls, allora direttore della Sala Stampa Vaticana, per un'ultima volta... andò in Cappella."

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